i liquami zootecnici

I liquami zootecnici vanno considerati “scarichi” o “rifiuti liquidi”? La parte quarta del D.Lgs n. 152/06 (Codice dell’Ambiente) disciplina tutti i rifiuti di ogni natura e composizione, quindi sia solidi che liquidi. La parte terza della stessa legge disciplina invece l’inquinamento idrico e gli scarichi e propone una deroga rispetto alla parte quarta, laddove esista un rifiuto liquido che può legittimamente essere trasformato in scarico. Non tutti i rifiuti liquidi possono essere trasformati in “scarico” e usufruire della deroga. Uno “scarico” a norma di legge deve infatti derivare da un insediamento fisso e riversare le acque in modo diretto verso un corpo ricettore (ad esempio fiume o fognatura) mediante una canalizzazione senza interruzioni sul suo percorso. Se il liquame resta in una vasca di accumulo, indipendentemente dalla natura “agricola”,“industriale”, “domestica” o “assimilabile”, non può quindi essere considerato uno“scarico”, non esistendo un riversamento diretto. Tale liquame dovrebbe infatti essere prelevato successivamente dalla vasca, trasportato altrove e smaltito.

Una modifica introdotta dal D.Lgs n. 4 del 2008 ha creato confusione nella normativa fissata precedentemente dal Codice dell’Ambiente, poiché ha previsto che “le acque reflue di scarico provenienti da imprese dedite ad allevamento di bestiame sono sempre e comunque assimilate alle acque reflue domestiche”. La Cassazione, con sentenza del 4 luglio 2008, n. 27071 ha di nuovo fatto chiarezza precisando che:

“Invero l’assimilazione delle acque reflue provenienti da imprese agricole o da allevamenti di bestiame a quelle domestiche si riferisce ai casi in cui vi sia uno scarico diretto tramite condotta. Solo in tale caso, ossia in mancanza di spandimento sul suolo degli effluenti derivanti dall’attività agricola o di allevamento del bestiame, era ed è applicabile la disciplina prevista per gli scarichi domestici, ricorrendo le altre condizioni previste dalla legge per l’assimilazione”.

Da uno “scarico” (parte terza T.U.) non si può quindi e chiaramente avere un’attività di fertirrigazione (concimazione dei campi e dei terreni agricoli), poichè lo scarico presuppone per legge il riversamento diretto tra la fonte (azienda allevamento) e corpo ricettore, mentre i liquami dalle  vasche presso le aziende zootecniche vengono poi prelevati e trasportati altrove ( ad esempio all’impianto per la produzione di biogas di Postalesio) oppure sparsi sui terreni come fertilizzanti.

Nel contesto del D.Lgs n. 152/06 l’eccezione per la fertirrigazione è prevista  dall’art. 112 dove si prevede che le Regioni disciplinino le attività di utilizzazione agronomica sulla base dei criteri e delle norme tecniche generali adottati con decreto ministeriale. Gli effluenti di allevamento e le acque reflue provenienti dalle imprese di allevamento sono di partenza “rifiuti”, che però possono essere sparsi o riversati su terreno secondo le regole dettate dal D.M. 7 aprile 2006.

Tuttavia, come ha rilevato anche la Cassazione, “non si può parlare di fertirrigazione del suolo allorché … i liquami vengono abbandonati alla rinfusa senza possibilità di assorbimento da parte del terreno, dando luogo a ruscellamenti, acquitrini o addiritura a paludi putriscenti” che non assolvono alla funzione, propria della fertirrigazione, di rendere i campi prosperi, ma anzi vanno a danneggiare tali terreni. In questi casi si integra il reato di abbandono di rifiuti.

 Con l’emanazione del D.M. 7 aprile 2006 (“Criteri e norme tecniche generali per la disciplina regionale dell’utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento”) si sono definiti i criteri e le norme tecniche generali che le Regioni devono osservare per disciplinare tali attività.

 Da allora è ancora aperto il dibattito se considerare la deroga alla normativa sui rifiuti, prevista nelle premesse di questo decreto, valevole o meno per tutto il ciclo di utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento (produzione, raccolta, stoccaggio, fermentazione e maturazione, trasporto e spandimento).  botte1

Va comunque posta molta attenzione al caso della falsa fertirrigazione. È questa l’ipotesi (diffusa) in base alla quale si tende a far finta di realizzare una fertirrigazione, mentre in realtà si prelevano liquami zootecnici da una vasca aziendale e, sfruttando la deroga della utilizzazione agronomica (che di fatto rende esente deposito – viaggio – spandimento) dalle regole e dalla tracciabilità dei rifiuti, si riversano detti liquami su terreni incolti in quantitativi del tutto incompatibili con una vera fertirrigazione e senza nessun reale scopo agricolo.

Il caso classico è quello dei riversamenti su un terreno del tutto incolto, che non presenta alcuna coltivazione in atto o coltivazioni strumentali e di facciata e che – dunque – non fa presupporre alcuna reale utilizzazione agronomica in atto così come richiesto dalla norma. Anche un accumulo prolungato nel tempo e in modo ingiustificato di liquami nell’ambito aziendale o su terreno agricolo oltre i limiti temporali di ragionevole loro utilizzo fa decadere  ogni realistica finalità di utilizzazione agronomica.

Non possiamo ignorare quindi che esista a volte anche la volontà  di effettuare uno smaltimento di rifiuti liquidi zootecnici su un terreno che viene quindi utilizzato come pattumiera, sfruttando in modo falso e fraudolento i vantaggi di deregulation che offre la normativa di eccezione sulla fertirrigazione.

Invito a leggere QUI il chiaro e illuminante saggio del Dottor Maurizio Santoloci, del quale saggio in questo articolo ho fatto una sommaria sintesi a scopo divulgativo.